Michelin, la storia del ritorno in MotoGP

Michelin, la storia del ritorno in MotoGP
Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
La presenza a Michelin Formula Italia di Piero Taramasso, responsabile del programma MotoGP per la Casa del Bibendum, è l’occasione per ripercorrere le fasi del rientro nella massima categoria
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
15 giugno 2016

Vi abbiamo promesso qualche giorno fa un’intervista con Piero Taramasso, il responsabile della Casa francese per lo sport motociclistico; abbiamo avuto l’occasione di incontrarlo all’evento Michelin Formula Italia (di cui vi parliamo qui) e non ci siamo lasciati scappare la possibilità di fargli qualche domanda che avevamo in serbo per lui, ma anche qualcuna di quelle che ci avevate chiesto di fargli voi.

Purtroppo o per fortuna, lo stesso Taramasso ci ha preso in contropiede anticipando diverse delle risposte nel corso della conferenza stampa corporate, durante la quale ha voluto soddisfare la curiosità della platea per l’impresa attualmente più importante di Michelin – l’avventura in MotoGP – ripercorrendo tappa dopo tappa il rientro nella massima categoria motociclistica della Casa di Clermont-Ferrand.

Ma chi è Piero Taramasso? Come lo presenta scherzando il Direttore della Comunicazione Michelin Marco Do, un giovane novellino della Casa di Clermont Ferrand. Da 27 anni in Michelin, Taramasso si è occupato di motorsport per 15 anni. Ha iniziato in Formula 1, di cui si è occupato per sei stagioni, per poi passare a seguire la MotoGP nel 2007 fino al disimpegno dell’anno successivo.

Lo sviluppo in altre formule ha poi ceduto il passo al ritorno nella massima categoria a due ruote con il ritorno di questa stagione, figlio però di un programma che nasce però naturalmente qualche stagione fa quando al ventilato disimpegno del fornitore unico ha fatto seguito l’interesse da parte di Michelin, che ha però posto una condizione imprescindibile per il suo rientro: la possibilità di mettersi nelle migliori condizioni per poi trasferire la tecnologia acquisita in MotoGP sul prodotto di serie – vedasi il passaggio ai 17” – e vincere così la propria riluttanza a partecipare in un campionato con formula monogomma. Che, come ha spiegato bene Taramasso, va un po’ contro la filosofia di Michelin, che vede nella competizione lo stimolo necessario a progredire, e quindi la motivazione stessa dell’impegnarsi nell’attività agonistica.

 


Un mondo tutto nuovo

Il ritorno in MotoGP è stata una sfida da far tremare i polsi. Sette anni sono un’eternità in MotoGP – praticamente un’era geologica – ed è evidente che chi, come Michelin, aveva già partecipato tanto a lungo sapeva bene… in che razza di pasticcio si fosse andata a cacciare. L’esperienza passata? Non era inutile ma quasi, perché dopo questa pausa i tecnici del Bibendum si sono trovato a dover affrontare una sfida completamente nuova. Con piste vecchie su cui è invecchiato anche l’asfalto – o magari sono cambiate un po’ di curve – e piste nuove, moto cambiate radicalmente sotto tutti gli aspetti, piloti con vecchie conoscenze e qualche nuovo fenomeno che ha costretto tutti gli altri a cambiare lo stile di guida.

E’ stato così che con un accordo preliminare Michelin ha avuto la possibilità di usufruire una stagione di sviluppo nel 2015, lavorando con i collaudatori e in qualche occasione con i piloti ufficiali. Uno sviluppo difficile da portare avanti, perché non è stato certo facile convincere piloti in lizza per il Mondiale ad impegnarsi (e quindi a rischiare) per spingere al limite coperture ancora un po’ acerbe come le Michelin dello scorso anno. Allo stesso tempo, il lavoro con i collaudatori è importante ma non sempre altrettanto probante, perché i tester girano mediamente ad un passo più lento di 1”5 – 2” rispetto ai top riders.

Una situazione difficile anche per la necessità di risolvere il primo, vero problema incontrato: trovare il giusto equilibrio fra il grip offerto dall’anteriore e dal posteriore in una MotoGP il cui stile di guida dei piloti era cambiato profondamente con l’arrivo di Marc Marquez. Se infatti ad inizio millennio i piloti avevano gradualmente iniziato a sporgersi meno dalla moto, prima per l’aumento di prestazioni delle gomme e poi per l’avvento delle 800, l’arrivo di Marquez ha costretto tutti a rivedere la propria impostazione in sella. Più fuori con il sedere in curva, busto a sfiorare l’asfalto e gomito ormai piantato stabilmente a terra, per tenere più gomma a terra in percorrenza ed uscita, Marc ha vinto all’esordio il titolo e ha bissato l’impresa l’anno successivo con una stagione degna del Doohan degli anni migliori. Tutti gli altri, volenti o nolenti, si sono dovuti adeguare.

2016, la strada è quella giusta

L’inizio della nuova stagione, con i test invernali, ha mostrato un panorama decisamente più positivo. I piloti ufficiali, pur evidenziando la criticità dell’avantreno nella delicata fase di transizione fra la staccata e la riapertura dell’acceleratore, si sono dimostrati soddisfatti al 99% già dopo il primo test a Sepang, e la serie di gomme 2016 ha messo praticamente tutti d’accordo. Tranne il povero Loris Baz, vittima di uno spettacolare incidente dovuto però ad una foratura. Difficile incolpare Michelin…
 

 

A Phillip Island il test ha avuto esito assolutamente positivo, confermando il buon livello prestazionale delle Michelin, che hanno fatto registrare solo qualche appunto. Tanto che in Qatar, per gli ultimi test, si sono viste solo modifiche di dettaglio, una vera e propria “messa a punto” non certo rivoluzionaria. E poi, una manciata di giorni dopo, è iniziato il campionato.

In quella occasione, Michelin ha finalizzato la gamma di pneumatici MotoGP, che offre tre anteriori e tre posteriori (soft, medium e hard) identificabili da una banda colorata (rispettivamente bianca, nera o gialla) che richiama il logo Michelin. Finalizzata anche la gamma rain, con l’offerta di soft – da usare in condizioni di freddo e/o pista molto bagnata – e hard, più adatte a situazioni di pista meno bagnata o comunque più asciutta. E poi sono rientrate le intermedie, sparite con il precedente fornitore, espressamente richieste dall’organizzatore per dare modo ai piloti di girare in condizioni d’incertezza.
 

Una gomma uguale per tutti

Il regolamento monogomma ha introdotto diverse sfide per Michelin, che dal servire due/tre team ufficiali e una manciata di squadre clienti come faceva nel 2008 è passata a dover portare 1.400 pneumatici in circuito, dovendo affrontare una situazione logistica piuttosto complessa.

Ma anche una sfida di adattabilità, perché a differenza delle gomme realizzate in precedenza, con linee di sviluppo dedicate per diverse moto e diversi stili di guida (ora del tutto impossibile da realizzare anche solo per l’assegnazione a sorteggio degli pneumatici all’inizio del fine settimana di gara) il monogomma costringe a realizzare una gomma che possa adattarsi alle caratteristiche della Ducati e a quelle della Yamaha, allo stile pulito di Jorge Lorenzo così come a quello quasi rallistico di Marc Marquez, ma anche – considerazione che può sembrare banale ma non lo è affatto, considerando quanto estrema sia la sfida prestazionale al livello della MotoGP – ad un pilota leggero come Pedrosa o pesante come Baz. Fra i due, tanto per dire, ballano 30kg…

Una sfida che in Qatar è sembrata già vinta, perché la gara d’apertura del 2016 ha fruttato a Michelin tre nuovi record. Il tempo totale di gara (42’28”452), il giro più veloce ad opera di Lorenzo (1’54”927), e la velocità massima assoluta per Iannone e la Ducati, a 351,2. Ma quindici giorni dopo, in Argentina, lo scenario è cambiato radicalmente.
 

A Termas de Rio Hondo, infatti, Michelin è arrivata con una situazione piuttosto difficile. Nel 2015 era stato possibile effettuare un solo giorno di test, senza peraltro i piloti ufficiali, su una pista completamente sconosciuta alla Casa transalpina. Un test oltretutto in buona parte vanificato dalla pioggia, che ha fatto sì che si sia arrivati alla gara quasi del tutto privi di esperienza.


La situazione si è complicata ulteriormente quasi subito con l’avaria al posteriore di Redding, innescata da un cocktail micidiale di temperature elevate, moto dalla potenza superiore alle pur prudenti aspettative di Michelin, e quindi tanto pattinamento del posteriore. Il peso di Scott Redding, pilota fra i più grandi del Mondiale, ci ha messo sopra il metaforico carico da undici, stressando la gomma oltre il limite di guardia. In realtà a Clermont-Ferrand avevano pensato al piano B, portando in Argentina anche le nuove gomme con struttura rinforzata e che i piloti avrebbero dovuto provare al sabato con un turno apposta. Ma ancora una volta la pioggia ci ha messo lo zampino, bagnando la pista ed impedendo ai piloti di prendere confidenza con gomme nuove e radicalmente diverse da quelle in uso, e agli organizzatori non è rimasta altra scelta se non ridistribuire gli pneumatici standard ed inserire un cambio moto obbligatorio dopo 10 giri.
 


In Texas, al Circuit of the Americas di Austin la sfida logistica ha assunto proporzioni enormi, perché Michelin non ha solo dovuto spostare tutta la propria organizzazione in circuito, ma ha anche fatto arrivare da Clermont-Ferrand pneumatici rinforzati, contraddistinti da una nuova struttura. Prodotti in soli tre giorni, con un posteriore più robusto ma prestante, hanno soddisfatto tutti tranne i piloti Yamaha: la perdita di edge grip sull’anteriore a mescola dura ha causato le scivolate dei due piloti ufficiali. Come per la rottura al Mugello, Lorenzo è stato più fortunato, con l’avvisaglia del warm-up; Rossi, complici i problemi tecnici, ha esagerato ed è scivolato in gara.
 

Arriva lo spinning

A Jerez si è iniziato a parlare di spinning – pattinamento – anche in rettilineo e nei rapporti più alti. Anche in questo caso, i problemi di grip manifestatisi al posteriore sono derivati da una combinazione di fattori. Da un lato, l’asfalto del tracciato di Jerez de la Frontera è ormai vecchio di 25 anni, e pur con la clemenza degli inverni andalusi il grip è naturalmente calato molto. Inoltre le moto, anche in questo caso, hanno preso un po’ in contropiede Michelin con la potenza raggiunta, problema aggravato dalle nuove appendici aerodinamiche – le winglets – che aumentano il carico sull’avantreno ma scaricano il posteriore. Le cadute sono state molte meno, ma tutti i piloti, fin dal venerdì, hanno iniziato ad accusare pattinamenti al retrotreno anche in quinta e sesta marcia, probabilmente con la complicità di una rapportatura tendenzialmente corta visto l’andamento molto tormentato del tracciato.
 


Dalla Spagna si è passati alla Francia con Le Mans. La gara di casa per Michelin, che non si è fatta trovare impreparata portando gomme ancora una volta tutte nuove: un anteriore stavolta promosso all’unanimità dai piloti, ed un posteriore più prestazionale. Il risultato è il record della pista in qualifica ad opera di Jorge Lorenzo, e tempi sul giro in linea con le aspettative della gara. E anche al Mugello non si parla di gomme, segno che va tutto bene: anche qui migliora la velocità massima assoluta (354,9km/h, firmata dal solito Andrea Iannone), nuovo record sulla distanza di gara (41’36”53) e giro veloce ottenuto a fine corsa, a dimostrazione della validità del grip e della costanza di rendimento delle gomme.

A Barcellona sono però tornati fuori problemi di usura, particolarmente pronunciata per una scelta piuttosto aggressiva nelle mescole, una temperatura elevata della pista, la nuova elettronica ed anche in questo caso un asfalto con un livello d’aderenza piuttosto basso. Non si sono però verificate cadute imputabili alle gomme, anche se osservare gli pneumatici di Baz e Redding a fine gara poteva far alzare più di un sopracciglio.
 


Un bilancio positivo

Nonostante un percorso fatto di (inevitabili) alti e bassi, il bilancio di questa prima parte di esperienza Michelin non può che essere positivo. Lo diciamo noi da fuori, lo dice giustamente Michelin, che spiega anche il perché della propria soddisfazione.

Anzitutto, il nuovo pneumatico anteriore è arrivato ad un equilibrio notevole: la sua struttura ne permette l’uso con pressioni di 2 bar contro i 2,5 necessari nel 2015. Un cambiamento che favorisce lo sviluppo di impronta a terra e quindi di un maggior grip. Inoltre, sia all’anteriore che al posteriore le mescole sono diventate più versatili, con un range di utilizzo molto più ampio. Le gomme lavorano bene tanto alla mattina che nel pomeriggio, quando la temperatura normalmente si alza sensibilmente. E poi c’è un nuovo profilo, che massimizza l’aderenza con angoli di piega oltre i 55° diventati ormai comuni nella MotoGP.

Dove si va da qui in avanti? Taramasso non ha dubbi. Si lavora per creare gomme capaci di adattarsi a diverse condizioni specifiche in termini di abrasività, temperatura, profilo, ma anche specificamente sul posteriore, per recuperare quel grip a cui si era rinunciato per questioni di sicurezza ad inizio stagione.